Zao/standardarchitecture
01 January 2017
 

Micro-Hutong is an experiment carried out by studio Standardarchitecture in the district of Dashilar in Beijing. A building imagined in 2012 and translated from wood to reinforced concrete in 2016. Through a double process of partial demolition and remodellation, the result of the intervention is a small lot which favours the spatial and functional link to the neighbourhood and a sense of cosy and intimate dwelling. 

Zao/standardarchitecture

Pensare i fondamenti
Re-thinking Basics

Fabrizio Arrigoni


00_ Micro-Hutong è la sigla adottata da Zhang Ke1 ed il suo team per questo esperimento immaginato nel 2012 e messo in opera l’anno successivo in occasione della Beijing Design Week. Esso muove dalla volontà di riforma delle condizioni in cui versano numerosi distretti storici della capitale2 . Con oltre 55 mila abitanti Dashilar – antico distretto sudorientale di Xuan Wu a pochi passi da piazza Tienanmen – presenta una densità insediativa tra le maggiori della città ed al contempo è soggetto ad una forte migrazione dei suoi abitanti dovuta anche alla carenza di servizi collettivi ed alla scarsa qualità degli alloggi, sovente resi insalubri dalle numerose superfetazioni che ne hanno, nel tempo, compromesso gli assetti tipologici originari. La rigenerazione, con tecnica pointillisme, di questi tessuti urbani – «the biggest urban issue in China…» ZK – è tema che sta coinvolgendo molti uffici tra i quali ricordiamo Archstudio, Napp Studio, TAO Trace Architecture Office, Archiplein, Studio Pei Zhu. Confrontando tra loro le scritture compositive è rilevabile come esse nella generalità dei casi tengano assieme una pars destruens – abrasioni, cancellature, diradamenti – e una pars construens – recuperi, completamenti, ri-modellazioni. Una sensibilità verso il patrimonio edilizio ed ambientale ereditato maturata e favorita dalla considerevole mole di ricognizioni ed indagini conoscitive prodotte da storici, urbanisti e scienziati sociali a partire dagli anni novanta del secolo scorso3 e che viene posta dall’architetto anche come riflessione sul concetto di scala: «Ritengo che un profondo rinnovamento della città cinese passi attraverso il ripensamento delle case a corte, ovvero le tradizionali unità abitative, al pari di uno studio biologico dove l’indagine sulle cellule di base è premessa per la creazione di nuove forme di vita. Il micro è il macro allo stesso tempo. Nella rigenerazione urbana, vale a dire il principale campo di battaglia attualmente in Cina, i progressi ottenuti alla piccola scala dell’intervento possono realmente incidere ad una scala maggiore. Questo è stato per noi il punto di partenza per fissare le micro-series: la selezione di alcune parti della città storica di Pechino come campioni per una sperimentazione operata alla scala minuta»4 .

01_ La scarsella di metallo è quasi del tutto trascurabile ed affaccia, di sbieco ed impercettibilmente sollevata da terra, sulla via Yang-Mei-Zhu. Più che un oggetto un’incisione scura sul margine di un fronte arretrato leggermente rispetto alla cortina della strada; minime disgiunzioni determinano la piena autonomia formale di questo innesto, riconoscibile per materiale, profilo, giacitura rispetto al suo intorno. La facciata organizza uno spartito fatto di tavole e lamiere di recupero in guisa di patchwork, un assemblaggio umile ed anonimo se non fosse per la copertura che lo protegge e conclude, elegante nelle linee e nella grammatica degli elementi che la compongono. L’imbuto conduce dunque in una sala di modeste dimensioni dominata dalla geometria della capriata che sostiene il tetto ed occupata unicamente da un basso muro di pietra che funge da appoggio; più oltre la parete verso l’interno del lotto è stata del tutto rimossa ed isolata nella mezzeria appare una colonna il cui fusto semilavorato serba il ricordo dell’albero che fu e che ora pare vegliare il passaggio verso il fuori. Osservata dall’alto l’area è stata come divisa in due settori pressoché identici per grandezza e perimetro; le partizioni aggiunte si dispongono sui tre lati del comparto tergale aggrappandosi alle murature di confino esistenti e regolarizzandone in alcuni tratti l’andamento; la superficie coperta di circa 30 mq. complessivi salvaguardia al centro un vuoto riproducendo ad una scala minima il tradizionale impianto della “corte con costruzioni ai quattro lati” (siheyuan). Un rapido abbozzo chiarifica il processo compositivo adottato: su un reticolo mistilineo autoportante fatto di profili metallici 40x28 mm. trovano sede 5 elementari parallelepipedi di lato minore pari a 1.60 m. e di lunghezza variabile. La loro disposizione in altimetria non risulta costante, oscillando da stacchi dal suolo di pochi centimetri agli oltre due metri. La spazialità tridimensionale del telaio garantisce la distribuzione orizzontale – quella verticale sarà consegnata a tre scale a pioli – mentre i solidi coincidono con gli ambienti serviti, cinque stanze la cui ampiezza varia dai circa 2.50 mq. della piccola ai 4.10 mq. della maggiore. Il volume sul bordo a settentrione è direttamente fruibile dalla corte e guida in direzione di un ridottissimo vano e da qui alla zona più riposta ed intima della casa. Il corridoio raggiunge un’altezza di poco superiore ai cinque metri, capace dunque di scavalcare il profilo delle costruzioni limitrofe. La dispositio dei cinque frammenti descrive una sorta di anello, enfatizzando il ruolo di cardine e punto di equilibrio assolto dallo slargo centrale. Un orientamento confermato poi dalla stessa morfologia delle pareti delle scatole: risolte con un’unica lastra di vetro trasparente di 10 mm. poggiata su una cornice opaca, fanno sì che l’intera spazialità sia offerta e permeabile agli sguardi. Una macchina scopica articolata e totale in grado di fondere le rigide contrapposizioni – interno vs esterno, alto vs basso, palese vs celato – in un medesimo campo tensionale, moltiplicando gli scorci e le fughe percettive, sino a sfiorare le sottili modulazioni del gioco. In uno dei numerosi modelli di studio approntati in fase di ideazione è dato osservare come un’ipotesi di lavoro consistesse nell’apertura di ampie finestre rivolte verso il quartiere: una soluzione centrifuga di proiezione verso la città poi depotenziata a favore di un orientamento delle forze-vettori centripeto, una strategia «che riconsegna la corte quale polo generatore del programma, attraverso la creazione di una relazione diretta con il suo contesto, calamitando usi sociali al suo interno»5 . Tutte le addizioni sono state realizzate con pannelli di compensato multistrato di spessore 18 mm (talora accoppiato, come nel caso dei “pavimenti” aggettanti) e protetti da una vernice trasparente.

02_ A distanza di tre anni quel fragile costrutto ha subito un processo di solidificazione, quasi una metamorfosi litoide. Alla primitiva boiserie continua ed uniforme fatta di fogli di compensato succedono ora sottili diaframmi in cemento armato tali da serbare l’impronta irregolare dei casseri lignei. Immutato tuttavia il diagramma concettuale e figurale dell’insieme. E dunque inalterata la ri-connotazione dello schema consueto della residenza con l’introduzione di quella prima stanza risolta come luogo di commistione, sospeso tra la dimensione pubblica della strada e quella privata e raccolta della corte; disponibile per esposizioni, incontri, feste, è spazio offerto al vivere quotidiano del quartiere, secondo i bisogni ed i desideri della comunità6 . Rispetto alla prima soluzione contenute appaiono le messe a punto – quali la rimozione dell’arredo fisso e del pilastro nel vestibolo per favorire il massimo continuum spaziale – mentre alcune risorse in latenza risultano del tutto esplicitate – è il caso dello sviluppo “piranesiano” del camminamento di servizio con i suoi pesanti e vertiginosi camini di luce. Permane il ruolo fondante dello scavo: ridotto nelle sue dimensioni fisiche ma amplissimo nei suoi portati immateriali7 il cortile è attraversato dai percorsi dell’occhio e dai tragitti della luce, quest’ultima diffratta e diffusa sulle tante superfici esposte, sì che la mutevolezza atmosferica risulta come accelerata e magnificata dalla giustapposizione e dalla densità delle masse costruite – sprazzi, riflessi, trasparenze, ombre, fissano un arabesco intricato quanto fugace che è l’autentico decoro del luogo. Avvolta nel suo manto grigio l’opera mantiene una coerenza percettiva con l’intorno; ciò che il nuovo abito evidenzia è quel taglio operato nella trama fitta del costruito che risarcisce la casa di feng-jing, di “vento-luce” o, altrimenti tradotto, di paesaggio.

Un ringraziamento a Zhang Ke ed a Ilaria Positano per la cortese collaborazione.

1 Formatosi tra l’Università di Tsinghua (Beijing) e la Harvard University (Cambridge, MA), Zhang si stabilisce nella nativa Pechino nel 1998 fondando uno studio indipendente tre anni dopo. Nel 2004 Standardarchitecture vince il concorso per il restauro di un tratto delle mura della dinastia Ming a Pechino affermandosi come uno degli studi più seguiti dalla critica internazionale. http://www.standardarchitecture.cn/v2newslist (10/16).
2 Michael Meyer, The last Days of Old Beijing: Life in the Vanishing Backstreets of a City Transformed, Walker & Company 2008.
3 Su questi temi: J. W. R. Whitehand, Kai Gu, Research on Chinese urban form: retrospect and prospect, in «Progress in Human Geography» vol. 30, n. 3; June 2006; pp. 337-355. Sui Lai-fong: Urban re-development and the preservation of traditional heritage: hutongs in Beijing. Dissertation, Degree of Master of Arts, The University of Hong Kong 2006. J. W. R. Whitehand, Kai Gu, Urban conservation in China: Historical development, current practice and morphological approach, in «The Town Planning Review» vol. 78, n. 5, Liverpool University Press 2007; pp. 643-670. Giuseppe Cinà, Demolizioni e ricostruzioni nella città storica in Cina: un matrimonio d’interesse tra tradizione e mercato, in «Territorio», fascicolo 72, Franco Angeli editore 2015; pp. 158-166. Tibet Heritage Fund, Beijing Hutong Conservation Plan, http://www. tibetheritagefund.org/media/download/hutong_study.pdf (10/16).
4 “Reporting from the Front” in China: A Talk with Zhang Ke of ZAO/standardarchitecture intervista di Yifan Zhang, maggio 2016; cfr.: http://www.archdaily.com/787041/ reporting-from-the-front-in-china-a-talk-with-zhang-ke-of-zao- (10/16).
5 Zhang Ke/standardarchitecture, dalla relazione di progetto. L’accentuata introflessione della casa tradizionale è fenomeno che identifica il modello insediativo pechinese. Cfr. Chen Guangzhong, Hutong in Beijing, Huang Shan Publishing House, 2011.
6 Un’analoga strategia di ibridazione funzionale è stata pianificata per un successivo intervento sempre a Dashilar: il Micro-Yuan’er Cha’er Hutong o Hutong del tè. In questo caso una grande corte caoticamente affollata da superfetazioni abusive (DaZa-Yuan) è stata riordinata attorno al suo gigantesco frassino per accogliere una biblioteca per bambini di 9 mq. ed una galleria d’arte di 6 mq. (oltre che ospitare spazi per la danza, la pittura, l’apprendimento artigianale). Avvalendosi di materiali della tradizione costruttiva locale – il legno ed il mattone grigio-azzurro – o meticciando quelli di stampo seriale – il cemento macchiato con l’inchiostro nero dell’arte della scrittura – gli architetti hanno tentato di risolvere come risorsa alcune modalità adottate dai residenti per soddisfare le loro necessità: «Riprogettare, rinnovare e ri-usare le superfetazioni invece di eliminarle. Facendo questo si intende riconoscere queste addizioni spontanee al pari di una sovrapposizione storica significativa e come testimonianza delle esigenze espresse dalla vita contemporanea negli hutongs, una funzione supplente che spesso risulta sottovaluta» (dalla relazione di progetto).
7 La stessa presenza della pianta, segno preciso nello skyline dei “vicoli” (hutong), testimonia come l’agire di Zhang Ke soggiorni sul margine tra riprese mnemoniche (genius loci) ed effrazioni/slittamenti dei codici espressivi. Si pensi a tal proposito alla struttura adottata nelle coperture della Stone Courtyard Teahouse a Chengdu (2005-07) dove, avvalendosi della perizia di anziani capomastri, è stata allestita una tramatura chiaramente debitrice al passato violando tuttavia l’antica sintassi tettonica che esigeva l’impiego di sostegni isolati o colonne, intenzionalmente del tutto assenti nel campione contemporaneo.



00_ Micro-Hutong is the title adopted by Zhang Ke1 and his team for this experiment conceived in 2012 and carried out the following year on the occasion of the Beijing Design Week. It derives from the will to reform the conditions of decay in which many historical neighbourhoods of the capital are today2 . With over 55 thousand inhabitants, Dashilar – the old south-east district of Xuan Wu, not far from Tienanmen square –presents one of the highest densities in the city and also suffers a large level of migration from its inhabitants due, among other things, to the lack of collective services and the poor quality of dwellings, often unhealthy as a result of all the illegal additions which have modified and put at risk the original constructions. The regeneration, using the technique of pointillisme, of these urban fabrics - «the biggest urban issue in China….» ZK – is an issue that is involving many studios, among which Archstudio, Napp Studio, TAO Trace Architecture Office, Archiplein, and Studio Pei Zhu. Comparing their compositive language it is noticeable how they generally have both a pars destruens – abrasions, cancellations, demolitions – and a pars construens – recoveries, completions, remodellations. A sensibility toward the built and environmental heritage that has developed and been favoured by the considerable amount of recognitions and cognitive research produced by historians, urban planners and social scientists since the Nineties of the past century3 and which is placed by ours as well as a reflection on the concept of scale: «I think it could generate a new revolution in urban renewal in China if we start with courtyards - the traditional dwelling units - which is like a biological study where you do genetic research of cells then new forms of life can be created. The micro is the macro at the same time. In terms of urban renewal which is the current battleground of China, if you can find a way to make progress at the micro scale, the energy you get can really makes a difference at the overall scale. This is the starting point for us to establish our “micro series” by selecting different parts in the old city of Beijing to carry out renewal work at the micro scale»4 .

01_ The metal apse is almost negligible and looks, sideways and imperceptibly raised, over Yang-Mei-Zhu road. More than an object it is a dark incision on the margins of a facade slightly set back from the frontline of the street; minimal disjunctions determine its total formal autonomy, which is distinguishable from its surroundings due its material, profile and placement. The facade organises a patchworklike partition made of recycled boards and metal sheets, a humble and anonymous assembly with the exception of the covering that protects and completes it, elegant in its lines and in the grammar of the elements that compose it. The funnel leads to a small hall dominated by the geometric form of the truss which supports the roof and is occupied only by a low stone wall which provides support; beyond the wall toward the inside of the lot it was completely removed and isolated in midpoint stands a column whose partially carved trunk recalls the tree it once was and which today seems to guard the passage toward the outside. Seen from above, the area appears to be divided into two sections, almost identical in terms of size and limits; the added partitions are distributed on the three sides of the back and are connected to the existing limiting walls, occasionally supporting them; the covered surface, approximately 30 m2 in total, safeguards an empty space in its centre which reproduces a minimal version of the layout of the “courtyard with buildings on all four sides” (siheyuan). A quick sketch clarifies the adopted compositive process: on a self-supporting mixtilinear lattice made with 40x28 mm metallic profiles, 5 elementary parallelepipeds are found, each with a width equal to 1,60 m. and of variable lengths. Their distribution in terms of height is not constant, and oscillates from a few centimetres to over two metres above ground. The threedimensional spatiality of the framework guarantees the horizontal distribution – the vertical distribution is entrusted to three ladders – while the solid bodies coincide with the areas served, five rooms of sizes varying from approximately 2,50 to 4,10. The volume on the northern side is directly accessible from the courtyard and leads to a very small room, and from it to the most secluded and intimate section of the house. The corridor reaches a height slightly over five metres, thus standing above the surrounding buildings. The disposition of the five fragments describes a sort of ring, emphasising the role as hinge and point of equilibrium taken on by the central clearing. An orientation confirmed by the morphology of the walls of the shell: resolved with a single, transparent 10 mm thick glass pane placed on an opaque frame which makes the entire space available and permeable to the gaze. A complete and structured scopic machine capable of dissolving the rigid counter-positions – internal vs external, high vs low, apparent vs hidden – into a single field of tension, multiplying the perspectives and vanishing points, until reaching the subtle modulations of the play. In one of the numerous studio models prepared during the conception phase it is possible to see how one of the work hypotheses consisted in opening wide windows facing the neighbourhood: a centrifugal solution which projects toward the city and is then undermined in favour of a centripetal orientation of the vector forces, a strategy «that brings back the courtyard as a generator of program, as it activates the building by creating a direct relationship with its urban context, drawing to its interior social activities»5 . All the additions were made with 18 mm plywood panels (occasionally doubled, as in the case of projecting “pavements”) and protected with a transparent varnish.

02_ At a distance of three years, that fragile building has suffered a sort of transition that froze it and solidified it, a lithoid metamorphosis. The primitive, continuous and uniform boiserie made of sheets of plywood, has now been replaced by subtle partitions in reinforced concrete that preserve the irregular arrangement of the wooden formwork, while the conceptual and figurative diagram of the whole remains unchanged. The re-connotation of the usual layout of the residence is thus unaltered with the introduction of that first room as a room for social interaction, suspended between the public dimension of the street and the private area enclosed by the courtyard; it can be available for exhibitions, meetings, celebrations, and also as a space offered to the everyday life of the neighbourhood, according to the needs and desires of the community6 . Regarding the first solution a few modifications are evident – such as the elimination of the fixed furnishings and of the pillar in the hall, in order to favour as much as possible the spatial continuum – while other latent resources become completely explicit – such is the case of the “Piranesian” development of the walkway, with its heavy and vertiginous funnels of light. And the fundamental role of the site remains: reduced in its physical dimensions but very wide in its intangible range7 , the courtyard is crossed by points of view and paths of light, which is diffracted and diffused on its many exposed surfaces, and thus the atmospheric variability seems to be accelerated and magnified by the juxtaposition and density of the built masses – flashes, reflections, transparencies, shadows, fix an intricate, fleeting Arabesque, that is the true decorum of the place. Wrapped in its grey cloak, the structure maintains a perceptive coherence with its surroundings; what the new appearance underlines is the cut made on the closelyknit fabric of the built which replenishes the house with feng-jing, with “air-light” or, in other words, with landscape.

The author thanks Zhang Ke and Ilaria Positano for their kind collaboration.

1 Trained at the Universities of Tsinghua (Beijing) and Harvard (Cambridge, MA), Zhang settles in his native Beijing in 1998 and opens an independent studio three years later. In 2004 Standardarchitecture wins the competition for the restoration of a section of the Ming dynasty walls in Beijing, affirming itself as one of the studios most followed by international critics. http://www.standardarchitecture.cn/v2newslist (10/16).
2 Michael Meyer, The last Days of Old Beijing: Life in the Vanishing Backstreets of a City Transformed, Walker & Company 2008.
3 On these topics: J. W. R. Whitehand, Kai Gu, Research on Chinese urban form: retrospect and prospect, in «Progress in Human Geography» vol. 30, n. 3; June 2006; pp. 337-355. Sui Lai-fong: Urban re-development and the preservation of traditional heritage: hutongs in Beijing. Dissertation, Degree of Master of Arts, The University of Hong Kong 2006. J. W. R. Whitehand, Kai Gu, Urban conservation in China: Historical development, current practice and morphological approach, in «The Town Planning Review» vol. 78, n. 5, Liverpool University Press 2007; pp. 643-670. Giuseppe Cinà, Demolizioni e ricostruzioni nella città storica in Cina: un matrimonio d’interesse tra tradizione e mercato, in «Territorio», volume 72, Franco Angeli editore 2015; pp. 158- 166. Tibet Heritage Fund, Beijing Hutong Conservation Plan, http://www.tibetheritagefund.org/media/download/hutong_study.pdf (10/16).  
4 “Reporting from the Front” in China: A Talk with Zhang Ke of ZAO/standardarchitecture interviewed by Yifan Zhang, May 2016; See: http://www.archdaily.com/787041/ reporting-from-the-front-in-china-a-talk-with-zhang-ke-of-zao- (10/16).
5 Zhang Ke/standardarchitecture, from the project’s report. The highlighted introflection of the traditional house is a phenomenon that characterises the settlement model in Beijing. See, Chen Guangzhong, Hutong in Beijing, Huang Shan Publishing House, 2011.
6 A similar strategy of functional hybridisation was planned for a later intervention in Dashilar: the Micro-Yuan’er Cha’er Hutong or Tea Hutong. In this case a large courtyard, chaotically full of illegal additions (Da-Za-Yuan) was reorganised around its gigantic ash for housing a 9 m2 children’s library and a 6 m2 art gallery (which in addition houses spaces for dance, painting and crafts training). Using materials from the local building tradition – wood and grey-blue brick – or mixing them with those from serial production – cement with blotches of black ink from the art of calligraphy – the architects attempted to resolve as a resource some of the typologies used by the residents for satisfying their needs: «to redesign, renovate and re-use the informal add-on structures instead of eliminating them. In doing so, they intend to recognize the add-on structures as an important historical layer and as a critical embodiment of Beijing’s contemporary civil life in hutongs that has so often been overlooked» (from the project’s report).
7 The presence of the plan, clear sign in the skyline of the “alleys” (hutong), is a testimony of the fact that the actions of Zhang Ke lie on the boundary between mnemonic reprisals (genius loci) and effractions/slippages of the expressive codes. Think in that respect of the structure used for the coverings of the Stone Courtyard Tea-house in Chengdu (2005-07) where, using the skills of old master builders, a fabric was laid which is in clear debt of the past, yet violates the ancient tectonic syntax that demanded the use of isolated supports or columns, intentionally absent in the contemporary version.

Translation by Luis Gatt  



ZAO/standardarchitecture
Micro Hutong
Beijing (China)  

2012 project
2013 wooden prototype
2016 reinforced concrete  

Project Architects:
Zhang Ke, Zhang Mingming,
Design team :
Zhang Ke, Zhang Mingming, Huang Tanyu, Ao Ikegami, Dai Haifei  

Photos:
Wang Ziling, Chen Su, Wu Qingshan © standardarchitecture

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